Rumori e Silenzi

 

di Giorgio Zambon - CAI Conegliano 2004

 

"tic, tic, tic",……, "tic,tic,toc", ….., "tic,tic",… Mi ricordo le emozioni da bambino, quando con una torcia trovata in un cassetto di casa andavamo fra amici a provare chi era il più coraggioso entrando nelle cavità naturali o nei rifugi antiaerei che ancora si trovano nelle nostre colline.
Che sensazione mista di paura, pericolo e mistero; il piacere della sfida fra amici: "chi resiste di più? chi ha il coraggio di andare più avanti? chi spegne la luce per primo per provare il buio e silenzio?"
E quale sensazione di appagamento ritornare alla luce del sole, riprendere le biciclette e tornare di corsa verso casa per la merenda.

"tic, toc, tic",…, "tic, tic, tic, tic",..., "toc",.., "tic,tic".
Da dove viene questo rumore che si sente da diversi giorni?
Non è un rumore di artiglieria o di fucile che ormai è diventato, se non familiare, almeno normale in questa guerra.
E' un rumore diverso, sembra provenire da sotto, dalla roccia, dalla parete di fianco.
Cosa mai potrà esserci dall'altra parte, che cosa succede nelle postazioni nemiche?
Inizia a serpeggiare una voce secondo la quale le vedette hanno osservato strani accumuli di detriti alla base delle trincee nemiche. Ma con l'ultima nevicata di questi giorni è tutto coperto ed anche gli osservatori fanno fatica a capire cosa succede.
Serpeggia una voce : "il nemico scava sotto di noi per piazzare una mina e far saltare le nostre postazioni!"
Una mina?
E noi adesso cosa facciamo?
Semplice: scaviamo una nostra galleria e gli andiamo incontro facendola esplodere prima di loro!

In quasi tutti i settori di montagna durante i combattimenti del 15-18, oltre alle cavità di osservazione e tiro, sono state scavate numerose gallerie con lo scopo di piazzare una mina in posizione strategica presso le postazioni nemiche, ordigno da far brillare per spazzare in un sol colpo la trincea opposta.
Tecnicamente parlando, la realizzazione delle gallerie è stata qualcosa di incredibile, considerando i mezzi tecnici disponibili nei primi anni del novecento e le difficoltà logistiche dovute all'ambiente alpino ed alla guerra.
Situazione che costringeva al trasporto dei materiali a spalla o a dorso di mulo, spesso di notte, per evitare di essere visti dal nemico.
Per fare un esempio, la famosa galleria da mina italiana del Lagazuoi, attualmente visitabile dalla base fino all'uscita sull'anticima, è stata realizzata scavando a mano con lance di ferro, martelli meccanici e perforatrici alimentati da generatori elettrici che venivano progressivamente attrezzati in nicchie, ricavate all'interno della galleria stessa, denominate “camere motori”.
Progredendo nello scavo, spesso si ricavavano feritoie di osservazione e tiro in quanto la galleria, esaurito lo scopo della mina, doveva servire quale sentiero sicuro per l'avvicendamento delle truppe nelle postazioni avanzate.
Le gallerie avevano una sezione media di 190x190 cm per quelle italiane e 80x180 cm per quelle austriache, e gli scavi avanzavano all’l'incredibile ritmo di 5-6 metri al giorno!
Spesso le strategie di guerra richiedevano delle deviazioni o l'esecuzione di falsi percorsi il cui scopo era esclusivamente di disorientare il nemico rendendo difficile per gli osservatori capire il percorso reale della galleria da mina.
Gallerie e contro-gallerie, tratti abbandonati in quanto scoperti dall'avversario, percorsi re-iniziati dopo aver quasi raggiunto l'obiettivo.
Percorsi di una precisione sorprendente, in tempi ben distanti dalle tecnologie di allineamento laser o GPS utilizzate nelle moderne gallerie.
Pensiamo alla galleria da mina italiana abbandonata sul monte Piana dopo il 24 ottobre del 1917, il cui scopo era scalzare le postazioni avanzate austriache oltre la "Forcella dei Castrati", per mettere fine agli assalti che tante vite avevano richiesto inutilmente.
Questo scavo segue un percorso determinato solo con bussola, rilievi e calcoli matematici.
Il lavoro fisico era massacrante, i minatori erano costretti a lavorare per ore sotto il peso delle perforatrici respirando aria resa irrespirabile dalla polvere.
E non andava certo meglio a chi invece aveva il compito di trasportare il materiale camminando in posizione china con carichi di 30-40 kg sulle spalle.
Il tutto sotto la costante minaccia di crolli spontanei o delle contro-mine nemiche che potevano esplodere nella parete di fianco da un momento all'altro.
Possiamo solo immaginare le condizioni di vita dei soldati costretti a tutto questo attraverso la cruda descrizione di un rapporto medico austriaco: "Tra le compagnie in servizio per le mine, si è riscontrato un numero di defezioni per malattie insolitamente elevato. L'attenta osservazione medica ha constatato principalmente malattie ai reni, al cuore ed ai nervi. Le prime due patologie sono da far risalire alla mancanza di ossigeno, alla grande sete, al lavoro fisico in costante posizione china. Come conseguenza dell'indebolimento cardiaco e poi dell'angoscia di venir schiacciati da una mina nemica, subentra una grande tensione nervosa. E'stato osservato persino tra gente dal sangue freddo e avvezza alla guerra." (1)
Deve inoltre essere considerata la dimensione delle mine, che a volte raggiungevano i 32.000 kg di materiale esplosivo, come nel caso della mina italiana esplosa sull’ anticima del Lagazuoi o di quella utilizzata sotto la trincea sommitale del Col di Lana.
Mine che hanno spesso ridisegnato i profili dei nostri monti ma che raramente hanno sortito un effetto decisivo sugli esiti delle battaglie.
Basti pensare che gli italiani conquistarono solo l'anticima del Lagazuoi senza mai riuscire a raggiungere una posizione dominante o che gli austriaci fecero brillare una mina che staccò una porzione di parete alta 199 metri e larga 136 senza per questo mai riuscire nell'intento di rimuovere le postazioni avanzate italiane sulla sottostante Cengia Martini.
Strepitosi fuochi d'artificio, spettacolari e distruttivi quanto inutili nel loro risultato finale.
Il 24 ottobre del 1917, con la rotta di Caporetto, tutte le postazioni alpine, oggetto degli aspri combattimenti dei primi tre anni di guerra, furono abbandonate per lo spostarsi del fronte lungo il Piave ed il Grappa, lasciando alle montagne l'eredità di profili mutilati e tane di talpe.

"tic, tic, tic", ………, "tic,tic,toc", ….., "tic,tic".
Infine il silenzio.
Fa più paura del rumore. Almeno, quando i nemici scavavano, voleva dire che non erano ancora pronti, che erano ancora dentro le gallerie e quindi se c'erano loro non poteva succedere niente.
Adesso c'è solo silenzio sotto di noi e rumore sopra ed intorno. Fra poco smonto di servizio insieme con il resto della mia compagnia. Verrà a darmi il cambio mio cognato, un fante appena arrivato e destinato alla seconda compagnia.
Mi chiedo solamente se toccherà a me, a lui o a qualche altro compaesano la sorte di occupare la trincea nel momento del botto.
Siamo comunque comandati a difendere la postazione avanzata perché non sappiamo se la mina c'è davvero, ma sappiamo che sicuramente il nemico è li, 50-100 metri davanti e spara come non mai, quasi a voler bussare alla porta di Vulcano per sfidarlo!
Alla fine il botto, poi il silenzio e nulla su questa montagna è più come prima.

Che bello riprovare da grande almeno in piccola parte le emozioni di bambino, quando affronto le gallerie ancora visitabili nelle nostre montagne.
Vedere le camere da mina inesplose, le feritoie, i vani per il ricovero delle truppe, tutto ricostruito e mantenuto da volontari che continuano a sentire l'importanza della memoria.
Mi manca però quel senso fanciullesco delle prime sfide, sostituito dalla consapevolezza degli eventi occorsi e specialmente delle storie dei soldati che spesso si sovrappongono a quello che vedo e sento nei rumori e silenzi delle nostre montagne.


(1) "La grande guerra sul piccolo Lagazuoi" - Comitato pro Cengia Martini-Lagazuoi (ANA) -Print House Cortina - giugno 1997