Una "quasi invernale" sul Civetta

di Dario Facchin - CAI Conegliano 2004

 

Luglio 1997

"Buonanotte, domani uscirò molto presto" avevo detto ieri sera a Sandro e Paola che gentilmente mi ospitano in Val Zoldana. Ben dopo le 8 mentre cerco di sgattaiolare fuori di casa vengo sorpreso in flagranza di ritardo e devo subire i conseguenti sfottò. Ma per un ghiro come me è sempre impresa ardua schiodarsi dal letto alla mattina. L'idea di salire il Van de le Forzele l'abbandono quando mi accorgo di non avere la cartina giusta. Allora nonostante il tempo nuvoloso (ha piovuto fino a stanotte) decido di tentare l'Alleghesi al Civetta. La stradina per casera Pioda è chiusa, ma funziona la seggiovia. Perdo tempo a rifare lo zaino: in alto c'è neve e porto piccozza, ramponi, un po' di corda (non si sa mai), imbrago, cordini, caschetto, vestiario (solo l'indispensabile, non c'è spazio), ghette, … il risultato è che sulle spalle mi ritrovo un macigno.

Lascio la lenta seggiovia e per stradina fangosa scendo in breve a Pioda. Quindi salgo al Rif. Coldai sempre investito da fredde raffiche di maestrale. Pausa per riempire la borraccia (altro chilo in più!) e in un'altra ora sono al circo sottostante l'attacco della ferrata dopo piccoli nevai e un facile tratto attrezzato. Il sole ogni tanto si affaccia tra le nuvole e il vento dà meno fastidio ora che sono riparato dal Civetta. Non sto troppo bene, forse i postumi dei bagordi di ieri sera e faccio una lunga pausa per rifocillarmi. Ho qualche dubbio dovuto al ritardo di stagione con ancora molta neve in alto a cui si è aggiunta la spruzzata di stanotte. La roccia in basso sarà bagnata, più in su troverò neve fresca e inoltre il tempo non è sicuro. In alto scorgo gente impegnata sulla ferrata e dopo un po' un altro gruppo numeroso affronta l'attacco. Beh, se vanno gli altri… Rincuorato mi imbrago e mi porto all'attacco traversando un nevaio sulle tracce di due ragazzi che però non sembra vogliano salire, sebbene attrezzati con tanto di corda che hanno usato per assicurarsi sul ripido nevaio.

Verso mezzogiorno aggancio il moschettone e inizio la salita procedendo ad un'andatura tranquilla. La ferrata non è difficilissima, però l'esposizione è notevole. Più su diventa a tratti più ostica dentro scomodi camini in cui occorre un po' di forza e contorcersi per non incastrarsi con lo zaino. Abbastanza in alto trovo fermi a mangiare il folto gruppo di toscani che ha desistito per la neve che mezz'ora più in su dicono essere abbondante: hanno lasciato un altro gruppetto che provava a proseguire. Li raggiungo (due adulti e un ragazzino) proprio dove inizia la neve, ma anche loro stanno scendendo.

La visibilità è scarsa perché tutta la parte alta del Civetta è immersa nelle nuvole. Ma a inizio luglio le ore di luce sono molte e quindi per ora posso proseguire. Calzati ramponi e ghette rimonto una cresta nevosa fino a superare una forcelletta per ridiscendere dall'altra parte. Subito finiscono le impronte degli altri e continuo per tratti per lo più rocciosi con gli scomodi ramponi. L'ambiente è cupo e salito un breve canalino nevoso sbuco su una forcelletta. Il vento gelido che la spazza mi fa capire che sono affacciato sulla tetra parete nord ovest. La nebbia ha di buono che nasconde il gran vuoto che ho sotto e comunque il tratto è molto breve. Tolgo i ramponi fastidiosi e poco utili anche sulla neve. Le condizioni sono simil-invernali e con giacca a vento e guanti salgo la ferrata alternata a tratti su neve a volte insidiosi perché un leggero strato di fresca ricopre un fondo grigio di dura neve vecchia. Ogni tanto intravedo la sfumatura più chiara di orme precedenti ricoperte dalla neve recente. Non so perché, ma mi convinco che siano di una ricognizione del gestore Bruno e che il Rif. Torrani sia aperto. Sono stanco e mi rinfranco accarezzando l'idea di passare la notte lì e affrontare domani la discesa che con tutta questa neve non dev'essere agevole.

Intanto devo arrivare al Torrani. E' vero potrei tornare indietro, però in realtà non ci sono veri motivi per rinunciare se non l'inquietudine che l'ambiente via via più severo mi incute. Poi rifare in discesa certi passaggi non mi entusiasma, quindi continuo anche se ora spesso cade una neve piccola e ghiacciata che tamburella sul cappuccio. Il cammino è difficoltoso ed in un tratto mi trovo a strisciare tra roccia e il labbro staccato del nevaietto, tutto storto e malamente aggrappato alla roccia. Poi ci sono tratti ripidi e abbastanza esposti con pezzi di fune mancanti in cui passo senza sicura, aiutandomi con la piccozza o afferrandomi alle roccette. Spesso la visibiltà cala, ma per fortuna il percorso è ben individuabile: tra neve, freddo e vento proprio non gradirei perdermi. Ormai il più è fatto e sbuco sulla cresta sommitale arrancando lentamente. Sbatacchiato dalle raffiche aggiro con circospezione le grandi cornici e passo i tratti di cresta più esili. E sono alla croce di vetta.

La neve ricopre la cima, ma non trovo alcuna traccia di salita dalla via normale: di colpo svanisce la speranza che il Torrani sia aperto. Non che sperassi di trovare qui una comitiva, ma dopo ore di isolamento mi sento un po' "disperso". Scatto un paio di foto di vetta e vista l'ora mi trattengo solo pochi minuti. Alle 16 inizio la discesa nella nebbia cercando un po' a memoria il percorso migliore. Per evitare scivolate sto spesso faccia a monte piantando bene punta degli scarponi e piccozza. In circa mezz'ora arrivo al Torrani dove a tratti la nebbia apre la vista sul Van delle Sasse. Sono stanco e infreddolito e trovo il rifugio deserto e chiuso. Il ricovero invernale è praticabile e ha anche il telefono d'emergenza, nel caso decida di pernottare, per avvertire casa che non si allarmino (correva l'epoca ante-telefonino). Do fondo alle mie provviste e, leggendo il libro del rifugio, scopro che oggi uno è salito fin qui per la via normale. Bella notizia, in discesa avrò la traccia! Sebbene siano già le 17 e 30 parto sulle orme del mio predecessore che però predilige i tratti sulla roccia: a volte io preferisco scendere sulla neve faccia a monte e piccozza, che tranne per i guanti fradici immersi nella neve è piuttosto comodo.

Scendo lentamente sia per la stanchezza che per le condizioni del percorso, ma non incontro particolari problemi. Solo poco prima di arrivare al camino attrezzato vedo venire giù con fragore un grosso sasso (coi fratellini) che si incanala proprio là. Mi metto il caschetto (comunque vano per calibri del genere) e ripongo la piccozza ormai inutile. Traverso velocemente e vedo che dall'ultima volta la fune è stata saggiamente spostata fuori dal camino che fa da colletttore. Ora è a destra addossata alla parete e al riparo dalle scariche: un sentito grazie ai manutentori della via normale. Continuo la lunga discesa che al Passo del Tenente fa seguire altri tratti attrezzati e finalmente sono sui ghiaioni. Le difficoltà sono finite e posso rilassarmi, però sono ancora molto distante e consultata la cartina decido di scendere direttamente a Pecol per evitare la lunga traversata con risalite lungo il sentiero Tivan.

Recupero dallo zaino i bastoncini e in scivolata sui nevai perdo rapidamente quota. Poi non mi resta che farmi la lunghissima scarpinata fino a Pecol Vecchio lungo un sentiero che si stacca da quello per Forcella Grava e che costeggia un impressionante "Lavinal" che ha ancora accumuli di neve fin sotto i 1700 m. Alla fine arrivo su una stradina e poi per la pista Lendina a Pecol. Per recuperare la macchina risalgo a Palafavera ovviamente a piedi perché, vista l'ora, non passa nessuno a cui mostrare il pollice implorante. Le 21 sono passate da un bel po' quando, esausto e col mal di testa da stanchezza, entro nel primo bar aperto per ristorarmi. Comunque mi sento molto soddisfatto: di cosa poi non so. Forse di aver appagato quella vena di masochismo che alberga negli appassionati di montagna? I ricordi migliori spesso si associano alle esperienze più impegnative: più è stata dura e più era "divertente". Ma se qualche ora fa mi avessero proposto di essere teletrasportato da dov'ero verso un asciugamano steso su una spiaggia assolata, cosa avrei risposto? Beh, … che il teletrasporto non esiste.