Le vette di Simone Moro

intervista di Osvaldo Segale in occasione della serata 

CAI Conegliano "Montagna Insieme. Spettacolo Montagna" dell'11 ottobre 2002

 

Simone Moro: guida alpina, istruttore federale ed allenatore della nazionale italiana F.A.S.I.. Quale di queste attività ti si addice di più?

Quella dell'alpinista. L'arrampicata sportiva è solo una specialità dell'alpinismo e quindi se dicessi che sono un arrampicatore sarebbe riduttivo rispetto a quello che io faccio. Pertanto mi definisco un alpinista a 360 gradi.

Cos'è che spinge un uomo  ad affrontare situazioni difficili e rischiose pur di raggiungere una vetta?

Più che di raggiungere una vetta è il desiderio di coronare un proprio sogno perché la vetta è solo un punto fisico, mentre la vera vetta sta dentro di noi e non è un punto fisico ma è il frutto di tanti ragionamenti, di tanti momenti di crescita, di tanti momenti di riflessione. In altri termini, è la forte energia che spinge ognuno di noi ad intraprendere ed a raggiungere gli obiettivi prefissati.

Si sale di più con le mani e con i piedi o più con il cuore ed il cervello?

Io salgo con il cuore ed il cervello. Le mani ed i piedi sono gli strumenti; il cuore ed il cervello sono il motore di tutto. Gli strumenti senza il motore non servono a niente. Avere le gomme e non avere il motore ... la macchina non si muove.

Sulle alte vette, secondo la tua esperienza, si ha più tempo di pensare allo spirito, ai valori umani o alle cose materiali?

Sicuramente non alle cose materiali perché lassù sei il più distante possibile dalla materialità e dall'ordinarietà. Lassù sei solo con te stesso e in quei momenti ti guardi dentro e vedi se quello che stai facendo è mosso da una grande esigenza personale o se invece è dettato da cose materiali, come la fama ed il denaro.

La morte del tuo compagno di scalata Anatoli Boukreev, avvenuta tragicamente sull'Annapurna, che cosa ti ha lasciato dentro?

Mi ha lasciato la virtù dell'umiltà ed un grande senso di umanità. Anatoli era il più grande alpinista, ma quella è solo una qualità professionale e di solito non è detto che si sposi con una grande qualità umana. Anatoli era grande in tutto.

Quanto conta l'amicizia in alta quota?

Nel mio caso è contata tantissimo perché fino al 1997 è stata il motore di tante mie scelte ed ancora oggi è il motore dei messaggi che lancio in qualsiasi conferenza; come quello di stasera.

Appeso ad una parete che effetto fa vedere il mondo in verticale?

La sensazione che si prova in cima all'Everest è una sensazione di piccolezza e di onnipotenza della natura. Chi, arrivato in cima ad una montagna come quella, si sentisse un "Rambo" o un trionfatore, è nel momento sbagliato, con l'approccio filosofico e sentimentale sbagliato. Lassù si è veramente un puntino in balia degli elementi perché basterebbe un piccolo soffio di vento per trasformare il "Rambo" che pensavi di essere, in una gelida pietra.

Qualcuno ha detto che un uomo si realizza quando non accetta i suoi limiti. Lo pensi e lo dici anche tu?

I limiti ci sono e pensare che un uomo non abbia limiti è il primo degli errori che porta ad essere cadavere molto presto. Diciamo che la non accettazione che i limiti siano così vicini e comodi, può essere una virtù perché ti spinge a muoverti. Non pensare che certi limiti facciano parte anche dell'amore, del bene più prezioso che è la vita, questo rischia di distogliere dalla grande bellezza di fare avventura.

Un grande sogno che vorrebbe si realizzasse?

Che ritornassero i valori dell'alpinismo di una volta. Mi raccontano di tante belle feste e di tante cantate che si facevano una volta e dello spirito di gruppo che c'era scalando le montagne e che oggi è quasi scomparso. Oggi si è troppo individualisti... A me questo individualismo non piace... Vorrei che si diventasse un pochino più generosi ed un po' più di compagnia, dai grandi ai piccoli alpinisti.