Sulla Piccola Civetta

per la via del Giazzer

di Diego Della Giustina - CAI Conegliano 2004

Una via di ampio respiro e di spazi selvaggi a "due passi" dal Rifugio Vazzoler, salita con Michele Silvestrin e Livio Lupi nel 2002.

Mi capita sempre di sentirmi a casa dalle parti del Rifugio Vazzoler, ma non credo di essere l'unico a provare questa sensazione. Deve esserci un po' di Monte Civetta nel DNA di noi del CAI di Conegliano. E chi potrebbe negarlo, vista la storia che la nostra sezione ha impresso fra quelle magnifiche crode? Fatto sta che tra tutti i gruppi dolomitici, il Civetta è indubbiamente quello che considero più "vicino". Le immagini delle meravigliose guglie e torri che segnano le creste del settore meridionale di questa grande montagna sono talmente impresse nella memoria delle salite al Rifugio Vazzoler, da divenire un riferimento primario per gli inevitabili confronti con altre belle montagne. E cosa dire poi del versante est del monte, con il Rifugio Torrani abbarbicato lassù, a quasi 3.000 metri? Un vero e proprio nido d'aquila che ospita con calore escursionisti ed alpinisti impegnati sui fianchi della montagna. Un Civetta addomesticato forse? Ambienti da escursionisti in erba?
Non proprio. Anche perché può capitare che nonostante anni di frequentazione di valli e cime del gruppo, resti scoperta, o meglio non scoperta (in realtà non visitata), un'area di dimensioni ragguardevoli, una formidabile vallata che sale altissima fin sotto la cima della Piccola Civetta (m.3207), e che ha origine da uno dei tracciati più noti delle Dolomiti, la strada sterrata che sale dalla Val Corpassa al Rifugio Vazzoler. Si tratta della Val dei Cantoni che culmina nel catino ghiacciato del Giazzer, assolutamente invisibile dal fondovalle e racchiuso tra le pareti e le cenge ghiaiose della Cima De Gasperi, della Piccola Civetta e della Cima de Toni.
Chi non fosse sfiancato al punto da non alzare lo sguardo da terra, dopo aver percorso i tornanti della salita al Rifugio Vazzoler e dopo aver attraversato sotto l'incombente parabolica e strapiombante parete sud della Torre Trieste, non può non notare, lassù sotto i Cantoni di Pelsa, quella ampia valle che sale prima dolcemente e poi si fa più erta e stretta, fino a presentare delle strozzature che lasciano presagire qualche passaggio delicato. E più su, ai confini del cielo, quasi si intuisce che quelle crode debbano racchiudere, come in uno scrigno, un segreto affascinante. Dietro la svolta generata dal costolone di Cima de Toni, se ne sta infatti l'oramai piccolo ghiacciaio De Gasperi, altrimenti detto Giazzer e dedicato alla memoria di un giovane alpinista solitario, perito sulle rocce sovrastanti il ghiacciaio pensile nel lontano 1907. Ora, di pensile, quella altissima conca di ghiaccio non ha più nulla. Il ghiaccio, consumato dai calori degli ultimi decenni, non deborda più dalle rocce levigate di quella fronte. Lassù, a fare da sentinella ed a testimoniare la lenta, inesorabile, erosione del ghiaccio, c'è da diversi anni il Bivacco Tomé (m.2850). Si tratta di una classica mezza botte metallica che ha trovato collocazione su di una esile cengia che sale poi verso le cime De Gasperi e Su Alto, sulla destra orografica della testata della valle. E sopra quelle vetuste lamiere? Una parete solcata. Un viatico perfetto per le scariche di sassi che provengono dal sovrastante cengione ghiaioso obliquo che facilita la prima parte dell'ascensione alla Piccola Civetta. Il soffitto del bivacco è stato più volte rattoppato e rifatto nel corso degli anni.
In realtà tutti gli amanti delle salite al Civetta, ma anche escursionisti minimamente velleitari, hanno, prima o poi, percorso almeno con lo sguardo quella selvaggia Val dei Cantoni, sognando una fin troppo logica via di salita al Monte Civetta. La realtà però lascia supporre che viste le poche tracce di passaggio, siano ben pochi coloro che nel corso di una stagione si allontanino dall'accogliente Rifugio Vazzoler, anche solo per addentrarsi un po' lungo la Val dei Cantoni. Come non ricordare quindi il manipolo di soci che nell'estate 1986 si avventurò su di lì e giunse fino alla meritata cima?
Avvincente e rocambolesca avventura è quella che Benito Zuppel racconta sulle pagine del nostro notiziario sezionale (rif. "Montagna Insieme", n.4, marzo 1987, pagg. 48-53). Ricordo che allora, probabilmente affascinato da salite un po' più "arrampicabili", non riservai molta attenzione a quella narrazione. Poi però, la curiosità ed il desiderio di salire per quella valle mi spinsero ad approfondire la lettura e così, nel 2002, cento anni dopo la prima salita di Alfredo Stoppani e della guida Pietro Conedera, mi ritrovai anch'io a temere per le potenziali sassaiole e per le infide discese dalla Piccola Civetta, così ironicamente descritte da Benito in quel racconto. L'occasione veniva dalla possibilità di puntare a quella salita assieme a Livio e Michele, notoriamente avvezzi a percorsi alpinistici dimenticati dal tempo.
C'era comunque in me qualche perplessità; il pernottamento al Bivacco Tomé, con partenza da Capanna Trieste, richiedeva, tutto compreso, una salita di circa 1.800 metri di dislivello, in una stagione che ancora non mi aveva concesso molte possibilità di allenamento in montagna. Per di più si prospettava l'idea di usare la corda in roccia, dopo almeno sette anni di assenza dalle crode, il tutto condito dai "fantasmi" della lettura di Benito.
Cordata a tre, un quarto che si defila, le previsioni meteorologiche che dopo la metà di agosto lasciano un po' a desiderare. Subentra anche il ricordo di quegli altri giovani della sezione che una decina di anni prima si ritirarono nel bel mezzo del tentativo finale di salita alla vetta, preferendo ripercorrere in discesa la non facile Val dei Cantoni, piuttosto che percorrere quei logici ed evidenti caminetti finali.
Quest'anno, a detta di Bruno Sorarù, gestore del Rifugio Vazzoler, una guida con cliente ha già fatto la salita, come a dire che in un anno la via del Giazzer conta i passaggi sulle dita di una mano. Ma senti … la guida ha dovuto bivaccare per la nebbia, in discesa dalla Piccola Civetta, verso il Rifugio Torrani.
Rotti finalmente gli indugi, decidiamo di partire, ancora nel buio di quel 23 agosto. Del resto tra un mese divento papà per la seconda volta e poi si cambia vita per un po'.
Ci ritroviamo a Capanna Trieste a scartare dagli zaini pesi inutili (?) quali una seconda corda, moschettoni, chiodi, piccozze. Cosa resta? Una corda da 9 mm, un martello, un chiodo, ramponi, imbrago e qualche moschettone. Qualche timore per la piccozza? Eh si, perché la Val dei Cantoni, scrivono (rif. Oscar Kelemina - "Civetta" - 1986), ha un percorso obbligato e si devono attraversare prima un 1° nevaio e poi un 2° nevaio. Livio e Michele che hanno fatto una perlustrazione l'anno prima confermano la presenza dei ripidi nevai. Si vedrà!
La prima parte della salita, l'avvicinamento al Vazzoler ed i pendii erbosi che scansano i temuti baranci della prima parte della valle, sono l'occasione per caricarci un po'. Il mio ricordo delle vicine salite alla Torre Venezia, per le vie Ratti e Tissi, alla Torre Trieste, per la via Tissi, alla Torre di Babele, per la via Soldà, alla Punta Agordo, per la via Da Roit, fanno da contrappunto ai ricordi di Michele che hanno però una particolarità in più, ma non di poco conto, rispetto ai miei: sono più freschi. Lui oggi è indubbiamente il più allenato ed il più preparato dei tre.
Suvvia, questa salita non è altro che un itinerario alpinistico dal 1° al 3° grado, con un passaggio di 4°. Un "troi" avremmo detto fra amici alpinisti qualche anno fa!
La via di salita, dopo aver lasciato il bosco del Rifugio Vazzoler, sale fin sotto le pareti della Torre di Babele e poi piega decisamente a destra, traversando i canali di ghiaia alimentati dal sovrastante impluvio roccioso.
Fin qui le tracce di passaggio sono esigue, c'è qualche ometto. E' stupefacente che a qualche minuto dal Rifugio Vazzoler, su per questa ampia valle, si debbano avere perplessità sul percorso migliore per la salita.
La formidabile ed altissima parete ovest della Busazza è alla nostra destra; si innalza come una iperbole, con un crescendo asintotico verso la verticale. L'invitante spigolo ovest della Torre Trieste che protende un'accentuata anca verso di noi scompare dietro la Busazza mano a mano che si sale.
Nonostante la solitudine del posto, incontriamo un giovane che scende da solo da un canale dei Cantoni di Pelsa, probabilmente un alpinista mattiniero e solitario o un amante del sorgere del sole fra quelle aguzze guglie.
Al culmine dell'invaso ghiaioso si deve prendere la sinistra orografica. C'è la prima sorpresa. Il 1° nevaio che, a detta del Kelemina dovrebbe essere ben visibile, non c'è più, ma non per questo la salita diventa meno infida. Le tracce sono scarse, gli ometti probabilmente sono stati distrutti dalle scariche di sassi del disgelo primaverile. Si sale per ghiaie e lastre di roccia inclinate, coperte da brecciolino mobile. Ma noi siamo agili come i camosci … chi più e chi meno … chi appesantito e chi invece alleggerito da una dieta ferrea e dal costante allenamento.
Salendo ancora su per la valle, l'esile traccia piega a sinistra; del resto dobbiamo lasciare alla nostra destra l'avancorpo della Cima de Toni. Sempre più affascinante si fa la vista verso la oramai più bassa Torre Venezia, con la cuspide contornata da un caratteristico anello ghiaioso. Una visuale di certo inconsueta per i frequentatori dei sentieri di fondovalle, se si esclude forse qualche foto aerea, riprodotta in cartolina postale.
Anche il 2° nevaio è praticamente scomparso, cotto dal sole. A noi non resta che percorrere un faticoso ghiaione giallastro, sotto un caldo sole, oramai alto sull'orizzonte.
Viene da pensare a quanto più semplice possa risultare la percorrenza della Val dei Cantoni in condizioni di buon innevamento, magari d'inverno.
La bastionata lucente di rocce che costituiscono il supporto inferiore del Giazzer è invece invitante. La neve e l'acqua le hanno ripulite dai detriti e l'arrampicata è divertente. Eccoci quindi sul catino del ghiacciaio.
Fin qui annoveriamo tracce di sentiero, 1° grado e qualche passaggio di 2°. Una eventuale discesa per la stessa via di salita non è invitante; il brecciolino instabile e la traccia insicura la renderebbero lunga e delicata. Meglio quindi guardare in alto, dove si profila la bastionata rocciosa da salire l'indomani.
La valle è chiusa in alto, sopra il ghiacciaio, da un anfiteatro di rocce caratterizzate da neri camini verticali. Tenendo la sinistra del Giazzer ci innalziamo fino a risalire brevemente la cengia che conduce al Bivacco Tomé, chiaramente posto qui per fare da punto di appoggio per chi sale le pareti nord delle Cime di Terranova, Su Alto e De Gasperi. Ritroviamo tracce di passaggi illustri sul libro del bivacco. Fra le altre quella di Marco Anghileri che ha ripetuto la difficilissima via di Ignazio Pissi e compagni (tra cui Aldo, il padre dello stesso Marco) sullo spigolo nord-ovest della Cima Su Alto, che fu aperta in ben 4 giorni, nel 1967.
Il pomeriggio passa sonnacchioso al bivacco. Voglio recuperare le forze per l'indomani. Livio e Michele si avventurano sugli sfasciumi delle cime De Gasperi e Su Alto. Quassù è un continuo rumoreggiare. Il ghiaccio scricchiola sotto il sole pomeridiano che spesso fa capolino dai nuvoloni che sono saliti dal fondovalle. Le scariche di sassi dai canali della Piccola Civetta riecheggiano tra le pareti dell'anfiteatro roccioso.
Apprezziamo particolarmente due provvidenziali minestre liofilizzate che cuciniamo con un fornello a gas che abbiamo portato nello zaino. Gradirei anche il classico temporale serale che però non arriva. Forse è meglio così. Chissà se avremmo avuto le scariche di sassi sul tetto del bivacco.
L'indomani partiamo alle 6:40, dopo che un'uscita più mattiniera ci aveva fatto presagire un peggioramento del tempo, con le nuvole in cielo. Ridiscendiamo per contornare il Giazzer, fino a prendere, verso sinistra, la grande cengia obliqua che andrebbe a portarsi fin quasi sull'orlo dell'immane parete nord. Invece la salita procede sulla destra, lungo una serie di canalini e cenge che consentono di superare alcuni gradoni e permettono di portarsi sul filo della cresta. L'ambiente è severo e suggestivo, la salita è facile e logica, ma richiede attenzione. Sotto di noi il Bivacco Tomé si rimpicciolisce sempre più al cospetto della testata della Val dei Cantoni e il Giazzer sembra ergersi ripidissimo fino alle rocce basali della Piccola Civetta.
Superiamo anche il passaggio chiave della salita, l'unico punto in cui ci leghiamo. Poi, sulla cresta, ci attanaglia il vuoto impressionante della parete nord-ovest del Civetta, con, oltre duemila metri sotto, il lago di Alleghe. Chi non ha mai provato in situazioni del genere una inspiegabile attrazione verso l'abisso?
Ci sono ancora da salire alcune paretine e diedri e poi le ultime rampe di sfasciumi. Alle 9 e 10 siamo in vetta alla Piccola Civetta. Siamo solo pochi metri più bassi della vetta principale che dista, in linea d'aria, qualche centinaio di metri, verso nord. Un sogno si è tramutato in realtà. Questo bellissimo e logicissimo itinerario ora è "conosciuto". E' divenuto patrimonio del nostro Monte Civetta. D'ora in poi mi sentirò ancora più di casa da queste parti.
Probabilmente la parte più impegnativa di tutta l'avventura è quella che segue. Già lo sapevo dal racconto di Benito. Loro erano riusciti a scatenare il pandemonio, fra i sassi mobili ed i macigni della discesa. E poi c'è stata quella guida che ha bivaccato quest'anno… Meglio non perdere tempo.
Costantemente in tensione, camminiamo come "sulle uova". In discesa arrampichiamo sfruttando solo gli appoggi, senza mai tirare gli appigli. Una serie di costole ghiaiose che si protendono in basso verso il Van delle Sasse vanno discese e attraversate in direzione del Rifugio Torrani. Non c'è traccia della lingua di neve di Benito nel canale finale, così come non capiamo dove si debba fare quella corda doppia di 20 metri citata da Kelemina. Meglio così.
Infine appaiono poco più in basso le tracce del rifugio. Si vedono la funicolare e la nuova palizzata in legno costruita pochi giorni fa da Piercostante Brustolon che, dopo tanti anni passati al Vazzoler, ha deciso di divenire un'aquila, quassù. Il tempo ormai sta cambiando. Resta da percorrere in discesa la ferrata Tissi che mi stupisce ancora una volta per l'arditezza del tracciato e per l'ambiente severo, forse reso ancor più tale dalle colate di acqua sulle rocce nerastre. Livio dissente. Piuttosto che fare "Tarzan" giù di lì preferirebbe gli sfasciumi degli Spalti di Toro. Per certi versi ha ragione ed in quanto ad avventure da quelle parti avrebbe parecchio da raccontare.
Ci infiliamo giù per il Van delle Sasse e poi, mirando ad una futuribile salita alla Busazza, da questa parte molto più "addomesticata", divalliamo tra i mughi che contornano la Torre Trieste. Ho ancora il ricordo di quella magnifica discesa di oltre dieci anni fa, una serie perfetta di corde doppie nel cuore di una delle torri più belle delle Dolomiti.
Non resta che godersi il classicissimo pediluvio tra le acque freschissime del Torrente Corpassa, oramai giunti a Capanna Trieste, pediluvio purtroppo interrotto dalla fretta di Michele che deve raggiungere la famiglia al mare.
La Gita dell'anno, quella con la G maiuscola, è conclusa ed il Monte Civetta ci ha dischiuso uno dei suoi ambienti più incontaminati. Ora, qui, siamo proprio a casa …