La mia montagna

 

di Livio Lupi - CAI Conegliano 2004

 

Alle volte mi capita di sentir parlare di montagna, e nel tempo sono diventato critico nei confronti di chi voglia esprimere un parere su questo  argomento a me così caro, soprattutto se sprovvisto della conoscenza  per poterlo fare in modo oggettivo perché discutere di montagna non è come parlare di calcio al bar.

 

Come si può criticare chi arrampica una cascata di ghiaccio, chi si cala nel vuoto in corda doppia, o chi pratica lo sci-alpinismo? Come ci si può arrogare il diritto di sentenziare sulla pericolosità di questa attività o sull’assurdità di quell’altra, magari senza sapere veramente di cosa si stia parlando?

 

Di solito chi esprime giudizi sulla Montagna e sui suoi frequentatori non è l’alpinista esperto, il gestore di rifugio, o la guida alpina; spesso è chi non ha esperienza diretta, al massimo è salito in cima alla Tofana con la “Freccia del Cielo” o peggio al Rif. Auronzo in macchina. Pontificare sulla montagna è diventato di moda, specie dopo qualche disgrazia riportata dalle cronache con titoli sempre più raccapriccianti. Quante volte ho sentito parlare di chi “si sia cercato la morte sotto una valanga”, o sia “andato in cerca” dell’ incidente. Quante volte ho assistito a sfilate di moda nei rifugi, accompagnate da inutili dissertazioni su quali fossero le “firme” più adatte per ogni tipo di attività o ancora quante conversazioni ho subito sulla classificazione estenuante di questa o quella ferrata, di quanto tempo ci voglia da un tale rifugio ad un altro.

La Montagna non è una sfilata di moda, o la conoscenza alfabetica di tutte le ferrate esistenti, né tanto meno dei tempi di percorrenza delle stesse; la Montagna non è la pista da sci da 2000 sciatori/ora, la cabinovia, la funivia, lo ski-lift, e neanche il rifugio-albergo 3 stelle con scale anti-incendio e TV a colori.

Non è il sentiero mitragliato di bolli rossi, o il prato invaso da gitanti domenicali, o l’immondezzaio che rimane al rientro di questi, tanto meno il pedalò balneare sul lago di Misurina, o la massa dei bellissimi libri in esposizione in tutte le librerie e neanche i cibi sintetici ad alto apporto di calorie.

 

Ma allora cos’è la Montagna? Perché se ne parla così tanto, è così amata, frequentata, ammirata, fotografata, descritta?

Cosa spinge l’uomo ad andare in Montagna? Cosa rende l’andare per monti così un’attività così speciale?

 

La Montagna, secondo me, è gara contro sé stessi, perché porta ad una profonda conoscenza del proprio corpo, della propria mente e dei propri limiti. Non si può ignorare il richiamo della sfida contro sé stessi. Non è sfida contro gli altri, perché quando si sfidano gli altri c’è sempre qualcuno più forte. Né si può pensare di sfidare la Natura, perché in qualsiasi istante questa ci può schiacciare. Questa “lotta con l’Alpe” di antica memoria è  invece una sfida contro sé stessi, che porta una migliore conoscenza dei propri limiti e rappresenta quindi una lotta raffinata e  costruttiva.

 

Forse l’uomo, costantemente alla ricerca di sé stesso, trova nella Montagna il luogo più adatto per la propria scoperta; forse è l’eterno Ulisse a muoverlo ed in questo ambiente si rende conto che non vi sono falsità, ipocrisie, diversità dovute a denaro, posizione sociale o simili, ma soltanto i sentimenti più sinceri e gli atteggiamenti più spontanei.

 

Un altro lato positivo dell’andar per monti è quello di cementare amicizie attraverso valori ed esperienze comuni. Alle volte una semplice occhiata del compagno di corda è più eloquente di un intero discorso. E com’è bello trovarsi a mangiare anche un misero panino dopo un’arrampicata, una sciata o una semplice camminata per boschi! Meglio se con un po’ di vino…

 

Purtroppo oggi molti si lasciano prendere la mano dalla tecnologia e fra cartine elettroniche nel GPS, meteo via internet, computer da polso per dislivelli e calorie bruciate, riducono il piacere della gita fino a mettere in dubbio la sua stessa essenza di gita. Volendo misurare tutto per abbassarla al nostro livello, non le togliamo forse della sua natura?

Non possiamo ridurre la Montagna ad una serie di parametri, misurazioni, classificazioni, perché la Montagna è Libertà. Libertà di pensiero, di modo di essere e di agire.  Come il Mare. Come il Cielo. Come si fa a misurare la Libertà?

Andare in Montagna significa accettarne le regole,  conoscere e rispettare l’ambiente, mettersi a diretto contatto con la Natura, significa anche grande attività fisica, sforzo, alle volte spingere il proprio motore al limite, e perché no, anche esporsi a qualche rischio.

Andare in Montagna però vuol dire anche raggiungere una vetta, inebriarsi dell’infinito visibile solo da lassù, sentirsi vivi perché morti di stanchezza, credere ciecamente nel compagno di cordata, seguire quella Passione che brucia dentro e fa guardare in alto, mettere alla prova quello che si è realmente perché lì non è possibile imbrogliare alcuno, soprattutto sé stessi. E’ condividere con i propri compagni esperienze fantastiche, silenzi assoluti, vedute indescrivibili, gioia, divertimento, sole, ma anche fame, sete, stanchezza, paura, freddo, temporale, fatica, l’infinito.

 

Andare in montagna è sentirsi parte di essa, infinitamente piccoli in mezzo ad un mare di roccia, neve, nubi, cielo; come granelli di sabbia nel deserto.

 

Lei, la Montagna è sempre stata lì, sempre sarà; c’era prima di noi, rimarrà per sempre dopo di noi.  Eterna, divina, ineffabile, e l’ineffabile merita il nostro silenzio: questa è la Montagna.

 

Ci sono regole da rispettare perché, ricordiamolo, noi siamo ospiti; del resto ci sono regole in qualsiasi ambiente della natura: il mare ha le sue, il deserto, le foreste equatoriali, il polo. Queste regole sono assai più elementari ed intuitive di quelle create dagli uomini per mettere ordine nella sua civiltà; regole che non intaccano tuttavia la Libertà di chi la frequenta per passione. Dovremmo quindi smetterla di utilizzarla come immondezzaio domenicale, o come parco dei divertimenti, perché la Montagna è un modo di vivere, di pensare, di comportarsi, di muoversi, di intendere le cose.

 

La Montagna esercita un richiamo impossibile da ignorare, che nel tempo diventa passione per le arrampicate, lo sci, le passeggiate, il trekking, i boschi, le vette, i laghi alpini, la quiete di una malga o il fragore di una cascata.

 

Chi possiede nel suo animo la passione per tutte queste cose ama la Montagna e riesce a sopportare il caldo estenuante di una macchia di mughi in luglio come il freddo intenso di una notte all’addiaccio; apprezza un ruscello cristallino e si commuove alla vista di un ghiacciaio al tramonto; riesce a scorgere tutte le sfumature dell’alba e gode del profumo del sottobosco in autunno; stringe i denti salendo il ghiaione che frana sotto i piedi e vive ogni istante di una discesa in neve fresca.

 

Quante volte ho ammirato il mare di nubi sotto di me dalla cima conquistata faticosamente, eppure questa esperienza è nuova ogni volta, mi riempie di gioia, di vita e mi appaga della fatica fatta anche durante tutte le gite con il brutto tempo… e sono tante.

 

La  Montagna svetta verso il cielo, e mai come oggi l’uomo ha avvertito la necessità di elevarsi verso l’Infinito, verso il Creatore stesso, nel tentativo di trovare sé stesso, di evadere dalla grigia quotidianità, nella costante ricerca di quella quiete interiore che non gli appartiene più.