"Grappa...Piave"

 

di Giorgio Zambon - CAI Conegliano 2005

 

 

Non è solamente il nome di una bevanda alcolica, ma è anche un binomio indissolubile fra due elementi fondamentali del paesaggio e della storia della nostra zone.

 

Il massiccio del Grappa è una imponente figura che si protende verso valle quale ultimo gruppo importante di monti prima della pianura.
Incombe a Feltre ed è ancora alla nostra destra se scendiamo per Quero, Pederobba, Vidor rimanendo ben visibile a Giavera del Montello, Nervesa, Ponte della Priula ed oltre verso il mare. Ci offre una affascinante progressione di scenari che partono dai campi coltivati alle sue pendici trasformandosi in fitti boschi, prati per il pascolo e su fino ad impervi sentieri in mezzo ad un paesaggio di soli sassi.
 

Grappa e Piave sono sposati dal fiume Tegorzo che, scendendo dal primo, si getta proprio nel corso del secondo. Si vedono, si fanno compagnia a vicenda e insieme rappresentano quel concetto di "luogo sacro alla Patria" come muti testimoni di eventi comuni degli ultimi giorni della grande guerra.


Dopo la rotta di Caporetto nell'ottobre del 1917, il fronte di guerra si è spostato dal Carso e dalle Dolomiti verso la pianura portando alla definizione della nuova linea difensiva nota come il "fronte del Piave" Non bisogna però per questo farsi trarre in inganno, pensando che la natura del conflitto si sia modificata totalmente in una pura guerra di pianura in quanto due dei caposaldi principali, che avrebbero consentito ad entrambe le parti di volgere a proprio favore le sorti del conflitto, sono proprio i settori dell'Altopiano del Sette Comuni ed il massiccio del Grappa.
A difesa di quest'ultimo gli italiani, sotto il comando del gen. Giardino, avevano schierato il IX corpo d'armata con la 17° e 18° divisione di fanteria che controllava l'area fra Canale di Brenta ed il Monte Asolone, il VI corpo d'armata con la 15° e 59° divisione a presidio della cima oltre ad una intera brigata di riserva, mentre il XVIII ed il I corpo d'armata con la 1°, la 56°, la 70° divisione e la 24° di riserva difendevano l'area del Monte Pallone, del Monte Tomba, del Monfenera fino a Pederobba.

Gli austraci opponevano il I e XV corpo d'armata con numerose divisioni di fanteria e ben 12 fra brigate e gruppi di artiglieria da montagna che potevano contare anche sulla disponibilità di 8 obici da 150 mm ed 8 da 305 mm.
 

Un simile dispiego di mezzi si può tradurre solo con il fatto che, come nel caso della prima parte del conflitto, chi era in grado di controllare le cime, era in grado di controllare il fronte. La differenza in questo caso era costituita dal controllo di vette che guardavano direttamente verso la pianura e che significava per gli austriaci, in caso di conquista delle postazioni italiane, volgere a proprio vantaggio le sorti del conflitto consentendo alle proprie truppe di avanzare verso valle alle spalle del fronte italiano.
 

Come però già verificato nella precedente fase bellica, la guerra di montagna comporta pesanti sacrifici e perdite sia per chi attacca, costretto ad assalti allo scoperto, che per chi difende, obbligato a mantenere truppe in trincea a difesa delle posizioni nonostante le pesanti perdite causate dal tiro dell'artiglieria.
 

Sacrifici e perdite italiane solo per mantenere posizioni statiche che con alterne vicende di sconfitte e vittorie in singoli episodi, hanno impedito la penetrazione delle truppe austriache alle spalle del fronte del Piave.
Alla fine del conflitto, in memoria dei caduti è stato eretto un monumento ossario presso Cima Grappa cui in seguito si è aggiunto un museo fino ad oggi meta di turisti e scolaresche spesso interessati non solo al paesaggio, ma alle vicende storiche che hanno segnato la nostra nazione.
 

Scopro però con estremo disappunto che mantenere un militare a presidio della struttura è un costo eccessivo che rientra nel concetto di "ottimizzazione" e che, nonostante le promesse solenni fatte agli inferociti sindaci dei comuni della zona da parte di ministri e sottosegretari in visita, da maggio non è più possibile visitare il museo. Attualmente la struttura è chiusa e non è stato preso ancora alcun accordo per una sua eventuale riapertura anche parziale; pertanto la posizione ufficiale è di definitivo abbandono.
 

Mi domando, sinceramente preoccupato di quanto corta è la nostra memoria, fra quanti anni qualcuno penserà magari di ristrutturare l'ossario del Montello come "condomini in posizione prestigiosa" oppure l'Altare della Patria in un "residence in centro Roma".
In fondo si tratta solo delle ossa di soldati che bevevano grappa lungo il Piave per farsi coraggio ed andare a morire per una patria in cui credevano.