Adriano Dal Cin
...quota 8.848
di Diego Della Giustina - CAI Conegliano 2004
Foto: Adriano Dal Cin
Giovedì 20 maggio 2004, ore 7:30. E’ la vetta … finalmente!
Adriano non può comunicare, come altri, la sua soddisfazione con il telefono satellitare. Per salire l’Everest i cinesi chiedono una pesante tassa sul possesso del telefono e la loro spedizione leggera di quattro persone ha deciso di rinunciare a questo mezzo di comunicazione oramai così diffuso tra gli alpinisti.
In Italia ha inizio una giornata di lavoro come tutte le altre e nessuna notizia sull’esito della spedizione trapelerà fino al pomerigio del giorno dopo quando, prima giungerà la notizia erronea dei due triestini Alessandra e Marco, compagni di salita di Adriano, dati per dispersi, e poi quella, altrettanto errata, di un possibile dramma durante il tentativo alla vetta di Adriano lungo la cresta Nord-est.
Si scatenano i giornali e le televisioni ma quando oramai si inizia a temere il peggio, già nella tarda mattinata di sabato da Internet arrivano le prime notizie rassicuranti.
Adriano sta scendendo con le proprie gambe al Campo Base. Domenica a Conegliano si inizia già a festeggiare. Adriano è finalmente riuscito a far pervenire notizie della sua salita, felicemente conclusa con la vetta dell’Everest. Un’avventura sul tetto del mondo che tuttavia gli ha fatto riprovare, dopo il Cho Oyu, la pena dei congelamenti alle falangi delle mani.
Abbiamo seguito attentamente la preparazione di questa spedizione, dai primi modesti accenni da parte del capospedizione bolognese Giuseppe Pompili, fino all’annuncio ufficiale del tentativo di salita, passando per i duri allenamenti iniziati già l’anno prima.
Sono ancora vivi i ricordi di Giuseppe che un giorno di luglio 2003 ci sorpassò con passo da marciatore mentre salivamo al rifugio Brentei e senza fermarsi, ci diede le prime notizie al volo sul programma della oramai già programmata salita all’Everest. E poi il ricordo della “gazzella”, Adriano, che durante gli allenamenti sfrecciava correndo tra le auto di Conegliano nelle fredde serate invernali.
Si è trattato indubbiamente di una spedizione preparata fin nei minimi dettagli, all’insegna della massima autonomia operativa in alta quota.
Ricordo le emozioni provate i giorni scorsi per il susseguirsi degli eventi e delle notizie che giungevano dall’Everest. D’improvviso ecco l’apparizione! Sono appena salito sul treno che mi porta quotidianamente al lavoro e chi si presenta davanti ai miei occhi? Proprio lui, Adriano, sorridente e radioso. Smilzo più che mai dopo la salita al tetto del mondo.
E’ tornato a casa, ha le mani fasciate e si sta recando a fare le prime cure di ossigenoterapia in camera iperbarica, per curare i congelamenti di secondo e terzo grado patiti durante la discesa dalla cima. Serviranno per una più rapida ripresa delle funzionalità delle falangi.
Adriano, oltre ad essere il primo socio della Sezione CAI di Conegliano ad aver raggiunto la vetta di un 8.000, il Cho Oyu nell’ottobre del 2002, è anche il primo a raggiungere l’Everest. E’ il terzo alpinista veneto in assoluto ad averne calcato la cima, dopo Mario Dibona e Mario Vielmo.
Durante il viaggio, in questa solare mattinata di giugno, mi racconta della salita, delle immani fatiche sopportate nella preparazione dei campi alti. Giuseppe ed Adriano non avevano portatori di alta quota e quindi si sono sobbarcati tutto il lavoro che solitamente è svolto dagli Sherpa.
E’ stata più dura del previsto ed è stato illuminante per lui osservare come in genere gran parte dei successi nella salita all’Everest sia possibile solo grazie al lavoro degli Sherpa. Alcuni salitori ne avevano fino a quattro costantemente appresso a soddisfare ogni richiesta e a spingerli verso la vetta.
Adriano racconta poi le fasi cruciali della spedizione. In particolare narra della partenza dall’ultimo campo, il Campo 3 a 8.300 metri di quota. Eccolo che si avvia con Giuseppe ed arriva subito l’amara sorpresa: l’erogatore dell’ossigeno si blocca ed Adriano deve tornare in tenda. Devono essere stati dei momenti terribili, con una rabbia dentro ed una delusione per la cima che gli stava sfuggendo.
Giuseppe rientra quindi al Campo 3 con la vetta raggiunta in una splendida giornata di sole. Adriano nel frattempo è riuscito a ripristinare l’erogatore e trova la forza ed il coraggio per riprogrammare la salita, da solo, il giorno dopo. Ma il sonno non arriva e alle 22 decide di partire, determinato come pochi a salire.
E’ il primo ad avviarsi in quella nottata stellata e durante la salita, dietro di lui, può osservare le fievoli luci delle lampade frontali degli altri salitori.
Giovedì 20 maggio, ore 7:30. E’ la vetta … finalmente! Le condizioni meteorologiche peggiorano subito. Le nebbie avvolgono l’Everest e comincia a nevicare. Non c’è purtroppo per Adriano lo stupore dell’orizzonte più vasto del mondo. C’è invece la necessità di iniziare a scendere mantenendo la massima concentrazione e cautela.
La neve rende i passaggi su roccia in discesa molto delicati ed è necessario avere la massima sensibilità nella presa delle mani. Adriano scende quindi con i guanti leggeri ed il freddo fa la sua parte. Si ritroverà alcune falangi congelate.
Sono dei momenti molto delicati; egli affronta una discesa pericolosa e paurosa, a volte con l’intera parete nord dell’Everest sotto i piedi, mentre la neve turbina intorno a lui.
La discesa quindi dura più del previsto ma Adriano è salvo. Deve fermarsi di nuovo al Campo 3 per la terza notte consecutiva oltre gli 8.000 metri. Così però perde i contatti con i compagni e da qui nascono gli equivoci sulle sue condizioni.
Adriano rientra al Campo Base e si ritrova sfinito. Le fatiche della salita, senza portatori d’alta quota, la lunghissima giornata della cima, la discesa nella tempesta di neve, lo hanno duramente provato. Ma ha l’Everest in tasca.
Bravo Adriano! Complimenti da tutti noi della Sezione CAI di Conegliano, per la tua determinazione, la tenacia e la preparazione dimostrata in questa magnifica salita e ... auguri vivissimi per le tue prossime salite!