Adriano Dal Cin e il K2

 La "Grande Montagna" - 8.611 m - Lungo lo Sperone Abruzzi

Con il patrocinio della Sezione di Conegliano del Club Alpino Italiano

 

Il racconto della spedizione sul Blog di Giuseppe Pompili

 

Il trekking della spedizione sul Baltoro 

 

La storia alpinistica dello Sperone Abruzzi

Il nome K2, che sta per Karakorum 2, cioè la seconda cima del Karakorum, fu creato da T.G. Montgomery, un membro del gruppo che, guidato da Henry Godwin-Austen, effettuò i primi rilevamenti nel 1856. Il suffisso nacque da un errore di misurazione dell'altezza della cima. Come K1 venne indicato il Masherbrum che invece è più basso. Ma per pura coincidenza il numero 2 corrispondeva alla posizione della montagna nella lista delle cime più alte del mondo e questo ne ha giustificato il suo mantenimento anche successivamente. Secondo quanto riferito da H. Adams Carter, il nome in lingua locale Chogo Ri sarebbe una creazione occidentale, nata dall'unione delle parole Baltì chhogo (grande) e ri (montagna), e non sarebbe utilizzato dalla popolazione indigena, per la quale il nome della montagna sarebbe semplicemente K2, pronunciato Ke-tu. Il termine Ketu sta addirittura assumendo per i Baltì il significato di picco elevato, grande montagna.

Il K2 è collocato nella parte centrale del Karakorum, ed è la sua vetta più alta e imponente. Secondo Reinhold Messner il K2 è la cima più difficile del mondo da scalare, anche sugli itinerari più semplici, e il suo punto di vista è condiviso da molti alpinisti. Per “itinerari più semplici” s’intendono sia lo Sperone Abruzzi (versante pakistano) sia le cresta Nord (versante cinese).

Lo sperone Abruzzi, per quanto meno elegante rispetto alla cresta Nord, appare dal Concordia come la via più logica, ma il primo tentativo di scalare il K2 fu compiuto attraverso la cresta Nord-est, molto più lunga. La squadra del 1902, composta da austriaci, inglesi e svizzeri e guidata da Oscar Eckenstein, raggiunse circa quota 6.500, riuscendo a malapena a superare le lunghe serie di creste affilate e cosparse di creste nevose, che alla fine si fondevano con la parte superiore della parete Est. Dovettero passare settantaquattro anni prima che una squadra di scalatori polacchi ritentasse questa via.

 

Nella seconda spedizione sul K2, del 1909, fu il famoso esploratore Luigi Amedeo di Savoia, duca degli Abruzzi, a identificare per primo e a tentare lo sperone Sud-Est, che ora porta il suo nome, ma fu un’altra famosa spedizione italiana del CAI che alla fine scalò l’itinerario fino alla vetta, nel 1954, grazie anche ai tentativi compiuti precedentemente da tre spedizioni americane. La spedizione del 1938, guidata da Charles Houston, era di tipo leggero, poichè Houston era dell’opinione che piccoli gruppi indipendenti avessero maggiori possibilità di successo, punto di vista rafforzato dalla sua esperienza di due anni prima con Bill Tilman, nella prima ascensione del Nanda Devi (India). Ora, sul più arduo terreno dell’Abruzzi, la sua squadra americana compì progressi regolari fino alla rete di nevai e costole rocciose che conducono alla Spalla. Su una fascia rocciosa strategica, a circa 6.700 m, fece strada William House; a tutt’oggi il camino House ispira rispetto anche ai migliori alpinisti. Sopra i 7.000 m trovarono una scalata ancora più ardua, sulla Piramide Nera, prima di una traversata di ghiaccio esposta che li condusse ai pendii inferiori della Spalla, dove gli scalatori montarono il campo 7, a circa 7.600 m. Nonostante questi notevoli progressi, li attendeva ancora una grande distanza da percorrere e un lungo dislivello da superare; le scorte cominciavano a scarseggiare e si temeva un peggioramento del tempo. La spedizione allora si ritirò, e ciò avvenne pochi giorni prima che una violenta tempesta spazzasse la vetta.

 

L’anno seguente giunse un’altra spedizione americana, questa volta guidata da Fritz Wiessner, originario della Germania, che aveva fatto parte della spedizione del 1932 al Nanga Parbat, condotta da Willy Merkl. Il K2 si rivelò proibitivo per una squadra che, molto inesperta, non riusciva a stare al passo con il suo capo, uno fra i migliori e più motivati alpinisti del suo tempo. Il disastro finale, dopo una serie di incomprensioni e e decisioni sbagliate, culminò con la morte di tre sherpa nell’eroico tentativo di salvare Cudley Wolfe, che aveva subito un attacco di mal di montagna. La colpa delle quattro morti ricadde su Wiessner, sminuendo la sua straordinaria prestazione; poco prima della sciagura, infatti era arrivato a un soffio dal successo.

Dal Campo 9, a 8.000 m, Wiessner aveva condotto Pasang Dawa Lama su difficilissimi tiri rocciosi, e avrebbe continuato di notte fino alla vetta se Pasang non l’avesse costretto a tornare indietro alla 6 di sera, a 8.400 m. Per niente scoraggiato, Wissner tentò di risalire due giorni dopo, questa volta scegliendo un itinerario all’estrema destra, più facile e seguito da tutte le squadre successive, il ghiacciaio Bottleneck. Tuttavia, poichè tutti e due avevano perso i ramponi, Wiessner dovette abbandonare il tentativo e scendere.

 

Houston ritornò sul K2 nel 1953, con altri sette scalatori ma nessu portatore d’alta quota. Gli otto scalatori erano all’altezza della situazione e il 2 agosto installarono il campo 8, sulla Spalla. Ma, disgraziatamente, il tempo peggiorò, intrappolando gli uomini nelle tende per cinque giorni. Dopo cinque giorni a quasi 8.000 metri, Art Gilkey si ammalò e rimase poi paralizzato a causa di una trombosi. Nell’eroico tentativo di salvarlo, sei compagni cominciarono a calarlo, un tiro di corda dopo l’altro, fino allo sperone Abruzzi. Ma la tempesta riprese, e la discesa assunse proporzioni tragiche quando cinque scalatori caddero in un intrico di corde e furono miracolosamente trattenuti dall’ancoraggio con la piccozza di Pete Choening. Gilkey fu poi travolto da una valanga e gli altri, congelati, sconvolti ed esausti, lottarono contro furibonde tempeste per raggiungere il campo 2, dove i portatori li aiutarono a scendere a valle.

 

Dopo tre epici ma parziali successi degli americani, il successo completo toccò nel 1954 alla preparatissima spedizione italiana guidata da Ardito Desio. Grazie all’eroico e generoso sforzo di Walter Bonatti e del portatore hunza Mahdi, venne trasportato quasi fino in vetta l’ossigeno necessario per Achille Compagnoni e Lino Lacedelli nel loro vittorioso assalto alla vetta; vetta su cui non mise piede più nessuno fino al 1977, quando una colossale spedizione giapponese ripetè la via Abruzzi.

 

Nel 1978, la montagna venne scalata per la prima volta senza ossigeno dagli americani John Roskelley, Rick Ridgeway e Lou Reichardt (Jim Wickwire usò un pò d’ossigeno, ma in vetta rimase senza e sopravvisse ad un bivacco in solitaria, all’aperto a 8.460 m). Gli americani completarono il tratto superiore dello sperone Abruzzi dopo aver traversato sulla Spalla, provenienti dalla cresta Nord-Est.

 

Un anno dopo Michl Dacher e Reinhold Messner ripeterono l’Abruzzi in stile alpino. Nonostante i diversi successi alla fine degli anni settanta, la pessima reputazione dell’Abruzzi non doveva cambiare.

Nel 1986, nel più tragico incidente della recente storia alpinistica, una prolungata fase di maltempo causò altre vittime. Cinque scalatori, di un gruppo di sette, rimasero intrappolati sulla spalla e morirono in un disperato e tragico tentativo di ritiro, portando così a tredici il numero totale dei morti sulla montagna.

Paradossalmente, durante quella stessa estate Benoìt Chamoux fece l’ascensione dello sperone Abruzzi in ventitrè ore. Anche se fu indubbiamente agevolato da chi era passato prima sull’itinerario e non meno dalle corde fisse, la sua fu un’impresa eccezionale, portata a termine solo pochi giorni dopo aver compiuto in sedici ore l’ascensione in solitaria del Broad Peak. A Chamoux bastarono solo due giorni di bel tempo per salire e scendere sano e salvo dalla montagna. Data la superba forma fisica dello scalatore, la sua ascensione fu probabilmente quella con maggiori possibilità di riuscita.

 

Dopo il 1986 ci sono state altre tragedie sull’Abruzzi e la maggior parte delle squadre non hanno raggiunto la vetta, confermando la sua fama, tuttavia gli alpinisti continuano ad andarci, poichè il K2 è una vetta formidabile.

 

Itinerario

Il posto più utilizzato per piantare in campo base per l’ascensione dell’Abruzzi si trova sotto la parete Sud, su una sezione di morena laterale nota come "La Striscia" e posto vicino alla confluenza dei ghiacciai De Filippi e Godwin-Austen superiore.

Da qui inizia un’arrampicata di circa due ore attraverso una breve e aguzza seraccata per raggiungere il campo base avanzato, a 5.400 metri, esattamente alla base dello sperone Abruzzi.

Attualmente, nonostante una importante e significativa operazione di pulizia realizzata nel 1990, i resti di corde fisse delle spedizioni precedenti sono i più evidenti segni del percorso, che inizialmente si snoda su per costole rocciose, delimitate sulla destra da un immenso campo di ghiaccio/nevaio.

La maggior parte delle squadre montano il campo 1 a circa 6.150 metri e dopo un tratto di salita su misto, il campo 2  a 6.750 metri, appena sopra la fenditura piegata a sinistra del camino House, o “camino Bill” con tratti di 5° su roccia e misto.

Da qui una facile arrampicata su uno sperone rossastro conduce ai più difficili tiri rocciosi della Piramide Nera con difficoltà di 3°- 4° grado che si attrezza con corde fisse.

Il campo 3 si trova 7.400 metri ed il campo 4  a 7.900 metri, sulla Spalla.

La parte cruciale si trova negli ultimi 700 metri.

E’ necessaria un’intera giornata per arrivare in vetta e per evitare di essere sorpresi dalle tenebre al ritorno, occorre partire molto presto.

Oltre la Spalla si sale in un canalone su neve dura e ventata, il Bottleneck, che arriva direttamente sotto i massicci seracchi sommitali, finché non si è costretti a traversare a sinistra, su un pendio esposto di 50°- 55,° sopra un salto di 3.000 metri. Questo è il punto chiave dove l’abilità e la forza di resistenza dei migliori alpinisti sarà sempre sottoposta a dura prova. Molti scalatori hanno avuto qui incidenti durante la discesa dalla cima. Superata la traversata, si raggiungono pendii nevosi più facili, ma c’è ancora un bel po' di strada per arrivare in vetta.

 

 

 

Le principali vie di ascensione aperte sul versante pakistano della montagna.

A:Cresta Ovest - B:Parete Ovest - C:Pilastro Sudovest - D:Parete Sud - E:Sperone Sud-Sudest -  F:Sperone Abruzzi

 

Vista sul collo di bottiglia

 

Clima

 Per iniziare una descrizione climatica del Karakorum non c'è niente di meglio che ricorrere alle parole di Ardito Desio che, con l'occhio dello scienziato, formulò un'attenta analisi delle diversità climatiche tra i due grandi massicci asiatici, l'Himalaya e il Karakorum.
Le differenze climatiche fra la catena dell'Everest e quella del Karakorum dipendono anche dalla diversa distanza dal mare.

La cima culminante, il K2, dista dal mare 1.500 km; l'Everest soltanto 640 km. Ecco perché le grandi foreste che ammantano sino a notevole altezza il versante meridionale dell'Himalaya nepalese mancano sul versante meridionale del Karakorum. [...]

Anche il famoso monsone, il vento umido e caldo di sud ovest che porta le grandi piogge nell'India e nell'Himalaya, arriva molto attenuato sul Karakorum; l'umidità si scarica in buona parte sulle catene minori e sugli altipiani che [ne] formano gli avamposti. [...]

Il Karakorum è più povero di precipitazioni dell'Himalaya e conseguentemente, anche sotto il limite climatico delle nevi permanenti, è molto brullo e spesso addirittura desertico.
E i dati meteorologici confermano senz'ombra di dubbio queste considerazioni, visto che a Skardu, posta a 2.215 metri di quota, nell'alta valle dell'Indo, a circa 100 chilometri in linea d'aria dalla vetta del K2, le precipitazioni medie annuali sono di soli 204 mm, venticinque volte meno degli oltre 5.000 mm che si registrano alla base dell'Annapurna.

Il modesto apporto pluviometrico di Skardu non corrisponde d'altra parte alle precipitazioni sicuramente più abbondanti che si incontrano nell'interno della catena fin verso i bastioni del K2, dove si stima che, verso quota 5.000 metri, tra pioggia e neve cadano valori annui attorno a 1.500 mm, comunque sempre assai magri se confrontati con le altre zone della catena.
Il periodo più battuto dal moderato monsone locale è l'inverno, mentre l'estate e l'autunno sono prevalentemente asciutti. La temperatura è improntata a un contrastato regime continentale, con inverno gelido (la media delle minime di gennaio a Skardu raggiunge i -8 °C) ed estate decisamente calda (sempre a Skardu, media delle massime di luglio pari a 31,5 °C).

All'aumentare della quota la temperatura scende come di consueto e sulla vetta del K2 si può stimare un valore medio annuo di -27°C, con occasionali punte estreme in inverno che possono toccare i -50°C, associati peraltro a frequenti venti con velocità dell'ordine dei 100 km/h.
Il versante meridionale del K2 da' origine, con i suoi ghiacciai Godwin-Austen e Savoia a uno dei più grandi e spettacolari ghiacciai della Terra, il Baltoro, lungo 57 km e con un'area di circa 800 kmq (il ghiacciaio dell'Aletsch, in Svizzera, il più grande delle Alpi, è lungo circa 20 km e ha una superficie di 86 kmq).

Le ineguagliabili fotografie che Vittorio Sella riprese nel 1909 offrono un materiale di studio insostituibile per valutare le variazioni di questi ghiacciai. Recenti studi di Smiraglia e collaboratori indicano tuttavia che la fronte del Baltoro ha subito spostamenti trascurabili rispetto all'enormità della lingua.

Ma gli effetti negativi del riscaldamento globale non tarderanno a farsi sentire anche su questi grandi ghiacciai, visto che a Skardu la temperatura media annuale è già salita di 1,4°C dal 1900.

  

Programma di massima

 

7/6 - Partenza dall’Italia (Venezia-Doha- Islamabad).

8/6 - Arrivo a Islamabad (briefing al ministero per il permesso di salita e ultimi acquisti di viveri/materiale).

9/6 - Da Islamabad a Chilas con pulmino (374 km).

10/6 - Da Chilas Skardu (2.287 m) con pulmino (270 km).

11/6 al 18/065 – Trekking sull’altopiano del Deosai (4000 m).

19/6 - Da Skardu a Husce con jeep (100 km).

20/6 al 24/6 - Partenza per trekking di 5 giorni per passo Gondoghoro la (5650 m) e Concordia (4500 m) al  Campo Base K2.

A partire dal 25/6 - Campo Base (5.050 m) e salita alla vetta.

 

Contatti

Dal Cin Adriano – Via Don Minzoni n.30 – 31058 – Susegana (TV) - Tel. 0438-458654 (dalle 8 alle 17).

E mail:  adriano.dal-cin@libero.it.